La stagista


Imprecando lanciò il mouse contro il muro, il suo collega non si scompose, tolse lentamente le cuffie dalle orecchie e fece una domanda molto semplice: “che ha combinato?”. 
Erano infatti diverse settimane che il suo capo ufficio era alle prese con una nuova stagista che gli era stata imposta: 25 anni, capelli color dell’ebano e profondi occhi color ghiaccio inizialmente aveva causato non poco trambusto tra la decina di nerd che formavano il suo team. Era da molto che aspettavano rinforzi e l’idea che i rinforzi possedessero una terza abbondante e un corpo ben formato non gli dispiaceva affatto. Purtroppo per loro già dopo pochi giorni fu evidente la poca dimestichezza con l’informatica della nuova arrivata.

Era tuttavia bastata una sola richiesta all’ufficio del personale per chiarire la situazione: con un ghigno la sua collega gli sventolò sotto il naso la foto della sua nuova stagista che scendeva dalla Jaguar del CEO soffocarono ogni sua protesta.

Da quel giorno erano passati ormai due mesi e, nonostante dalla stessa Jaguar fossero scese altre donne, lei era sempre lì. Era infatti riuscita a strappare un contratto a tempo indeterminato e non potevano cacciarla se non per un valido motivo. 

Quel giorno però l’aveva fatta particolarmente grossa: per uno strano motivo aveva invitato a un cliente il materiale destinato a un altro. Grazie ad alcuni rapidi accorgimenti erano riusciti a scongiurare il grosso dei danni, ma per una mezzora buona avevano temuto una denuncia per violazione del segreto industriale e una lettera di licenziamento collettiva. 

Crogiolandosi al pensiero della vendetta aspettò che tutti fossero usciti, in realtà aveva agevolato la cosa sussurrando alle persone giuste di uscire molto velocemente, e la convocò nel suo ufficio. Non aveva neanche varcato al soglia che scoppiò in un pianto disperato implorandolo di non licenziarla e non dire nulla ai superiori, qualsiasi intenzione bellicosa si spense rapidamente quando incrociò lo sguardo di lei. Il mascara le stava colando sul viso disegnandole un elaborato disegno nero e l’espressione solitamente altezzosa era ora stata sostituita da un espressione di puro terrore.

Superata la sorpresa iniziale fece due ampi respiri e prese il controllo della situazione:

“Ora basta, non è certo il caso di comportarsi come una bambina, ora siediti, dobbiamo discutere della tua sbadataggine” 

Le parole e il tono autoritario diedero i suoi frutti, ubbidiente ridusse il pianto ad un leggero piagnucolio e si avvio verso la sedia che le era stata indicata, ma all’ultimo secondo si voltò nuovamente verso di lui cadendo in ginocchio. 

“Non mi licenziare…ti prego…ho bisogno di questo lavoro … farò tutto quello che vuoi”

Il tono con cui pronunciò le ultime parole avrebbe sicuramente colpito la fantasia di molti e lei lo sapeva, ma Fu il seguito che le rimase impresso per molto tempo.

Capì di essersi spinta troppo oltre quando i loro occhi s’incrociarono di nuovo, profonde ombre scure si muovevano  sul fondo dei suoi occhi mentre un singhiozzo strozzato fu l’unica cosa che riuscì a produrre la sua gola.

Afferrandole la nuca la costrinse ad alzare il volto verso di lui:

“Stammi bene a sentire troietta, qui non funzioneranno i tuoi giochetti e le tue suppliche…ringrazia che non sei mia perché a quest’ora staresti pingendo in un angolo con il culo in fiamme”

Detto ciò le voltò le spalle e si allungò verso la porta, in seguito lei non capì il perché del suo comportamento, come se fosse stato tutto un incubo.

“Aspetta”

Non fu tanto quella parola a colpirlo, quanto il tono con cui era stata detta, non era infatti la prima volta che udiva quel particolare tono di supplica. Si voltò quindi appena in tempo per scorgere la strana espressione che si era dipinta sul volto di lei, mentre gli voltava le spalle e si piegava sulla scrivania offrendogli il fondoschiena ancora fasciato dal corto tubino che indossava quel giorno. 

Una rapida scarica di colpi sul vestito le strappò un grido di sorpresa, non si aspettava una reazione così immediata e neppure la mano che gli premette le reni per costringerla in quella posizione. Evidentemente non era la prima volta che il suo capo si trovata in una situazione simile e ben presto lacrime sincere le rigarono il volto mentre tubino e mutandine non sembravano arginare i colpi che le mordevano i glutei scolpiti dallo Zumba. 

Poi improvvisi come erano arrivati i colpi cessarono, mentalmente ringrazio il fato che fosse finita, mentre un feroce bruciore le scaldava i fianchi e l’attaccatura delle cosce.
La mano che la inchiodava alla scrivania tuttavia era ancora al suo posto e il terrore la invase nuovamente quando alle sue spalle udì un rumore metallico che non aveva mai udito.
 
Una tremenda fitta al già martoriato culetto e il sinistro rumore del cuoio che morde la pelle risposero in maniera fin troppo chiara alla sua domanda. Una dopo l’altra dieci cinghiate le strapparono il respiro e la pelle, mentre il tubino le si alzava per la forza dei colpi e mostrava al suo capo un piccolo tanga di cotone bianco che spiccava sulla pelle ormai di un rosso cupo.

Ormai senza fiato accolse con un sospiro di sollievo il rumore secco della cinghia che finiva sul pavimento e la scomparsa della pressione sulla schiena. Lentamente il suo capo girò attorno alla scrivania fino a trovarsi di fronte a lei, mentre con una carezza le faceva capire che era tutto finito. Si chinò quindi di fronte a lei e la fissò negli occhi resi lucidi dal pianto.

“Spero che tu abbia capito la lezione, perché la prossima volta non sarò così tenero con te”

Detto ciò si alzò e la lasciò sola, con il sedere in fiamme e una strana sensazione sul fondo dello stomaco.

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