La Teoria del Riccio - Parte 1

Chiunque abbia frequentato l'università sa che la sessione invernale è la più dura di tutte, concentrarsi sugli esami con ancora il profumo del natale addosso è infatti una delle cose più difficili in assoluto. Fu quindi con uno spirito tutt'altro che gioioso che Diana si preparò per andare ad affrontare il primo dei due esami che avrebbe dovuto dare entro la fine di Gennaio.

Non era ancora uscita dal portone che gli occhiali erano già diventati inservibili a causa ddi una insopportabile pioggerellina: piccole e gelide goccioline che s'insinuavano sotto i vestiti costringendola a tremare di freddo già dopo pochi passi. Per sua fortuna aveva trovato quel piccolo appartamento a pochi minuti dalla sede della Facoltà di Scienze e, rischiando più volte di scivolare sui sampietrini resi viscidi dalla pioggia, arrivò rapidamente nella piccola piazza antistante l'università. Come sempre si fermò alcuni istanti a leggere la scritta che ne decorava la facciata:

"Non hai mai commesso un errore se non hai mai tentato qualcosa di nuovo."

Il motto più bislacco che avesse mai letto. 

Scuotendo la testa si avviò verso la scalinata di accesso, quando improvvisamente un grosso strattone allo zaino la face ruotare su se stessa e franare sul marciapiede. Per puro miracolo riuscì a non cadere in avanti e una tremenda botta sul sedere fu la sua "ricompensa, trattenendo a stendo un'imprecazione si sistemò meglio gli occhiali sul naso e istintivamente inclinò la testa da un lato per comprendere meglio la scena che aveva di fronte:

I tavolini del piccolo bar della facoltà erano caduti a terra e tra loro spuntava quella che sembrava uno strano mezzo di trasporto ricavato assemblando tra loro i pezzi di una bicicletta e di un carrello a tre ruote. Da quello strano miscuglio di legno, ferro battuto e alluminio emerse uno strano ragazzino di non più di 15 anni:

molto magro aveva i capelli corti e pettinati dritti sopra la testa, un giubbotto di pelle nera (nonostante il freddo) e un paio di jeans strappati in più punti (anche se almeno un paio di strappi sembravano le conseguenze dell'incidente. 

"Di chi cazzo è questo .... @#@@@# ... coso?"

Imprecando ferocemente il ragazzino agitò in aria quello che una volta era lo zaino di Diana e che ora era poco più che un insieme di brandelli di tessuto dai quali volavano a destra e a sinistra le poche cose che vi erano contenute. 

"Cazzo il mio portatile..."

Una volta messo a fuoco l'accaduto Diana si precipitò verso il ragazzino, nello zaino era contenuto il suo portatile e senza di esso poteva scordarsi di dare l'esame. 

In pochi passi fu sopra il ragazzino strappandogli di mano lo zaino...vuoto, nessuna traccia del portatile, mentre sentiva il panico crescere dentro di lei spinse da parte il malcapitato e iniziò a spostare i tavolini alla ricerca del portatile.

"Ti prego fa che sia sano e salvo, giuro che se l'hai scassato ti ammazzo qui e subito, cazzo ho appena finito di pagarlo, maledetto ragazzino...non dovresti essere a scuola invece di rompere le scatole a me..."

"Punto uno ragazzino lo dici a tua sorella, punto due eri tu quella che se ne stava ferma in mezzo alla strada con la testa tra le nuvole...per colpa tua per poco non mi ammazzavo"

Il tono strafottente e le parole del ragazzino gli fecero salire il sangue alla testa e quasi senza rendersene conto Diana si ritrovò il bavero del suo giubbotto torto nel pugno e il viso a pochi millimetri. Piantò i suoi occhi scuri in quelli verdi di...lei...i tratti morbidi del viso e il piccolo seno che premeva contro il suo non lasciavano alcun dubbio, non si trattava di un ragazzino, ma di una "ragazzina". 

"Hai ragione, non sei un ragazzino...sei una bimba viziata a cui evidentemente nessuno a mai dato una lezione, ringrazia che ho un esame altrimenti ..."

Accorgendosi di quello che stava per dire la lasciò andare un po' troppo velocemente e si voltò controllando con troppa enfasi sotto un tavolino, confessare ad una sconosciuta le sue tendenze non era assolutamente una buona idea. La sua reazione sembrò però aver colpito nel segno, silenziosamente la sua investitrice si mise a riordinare insieme a lei e dopo pochi minuti riuscirono a ritrovare tutti gli oggetti di Diana...compreso il suo portatile.

"...scusa...io...beh..l'ho trovato..."

Diana si voltò verso la sconosciuta, sembrava essersi fatta molto più piccola e con gli occhi bassi le porgeva quello che, una volta, era il suo fidato computer: durante l'incidente doveva aver urtato contro qualcosa di decisamente più duro di lui e ora dalla case sfondata fuoriuscivano i pezzi di quella che una volta era una scheda madre da più di mille euro. Il gelo s'impadronì di Diana, aveva risparmiato per mesi e mesi per potersi comprare quel computer, mesi passati a dare ripetizioni a bambini e compagni d'università e serate a compilare temi Wordpress da vendere online e ora, avrebbe dovuto ricominciare da capo. 

Il gelo lasciò rapidamente il posto a un'ira crescente quell'odiosa ragazzina le aveva fatto buttare nel cesso mesi di lavoro e di studio, visto che senza portatile non avrebbe potuto dare l'esame. Aveva una gran voglia di mettere le mani addosso a quella odiosa pel di carota:

"Ma come cazzo ti viene di lanciarti giù dalla scalinata con quel cazzo di trabiccolo...nella migliore delle ipotesi saresti finita all'ospedale e nella peggiore potevi mandarmi all'altro mondo, sei una stupida incosciente senza alcun rispetto degli altri...per colpa tua dovrò lavorare dei mesi per poterne comprare un portatile nuovo e ora dovrò ricominciare con le ripetizioni...cazzo è una cosa che odio...ringrazia che non sei mia...altrimenti a quest'ora ti starei già spellando il culo con la cin...."

L'ultima parola le morì in gola sentì i polmoni vuoti e un senso di panico crescente, mentre immobile aspettava di sentire i commenti e le risate di chiunque avesse sentito le sue parole. I secondi colarono lentamente lungo la schiena, spinti via uno alla volta dal cuore che piano piano tornava al suo ritmo normale. I nove rintocchi di una campana lontana sciolsero il suo immobilismo, la coscienza rientrò lentamente nel suo corpo, il respiro si fece pian piano più regolare e gli occhi misero a fuoco la vittima delle sue frustrazioni:

I capelli arruffati le ricadevano in parte sulla fronte e il rossore del viso nascondeva le numerose lentiggini che le decoravano il piccolo naso a punta che doveva già essersi rotto un paio di volte. Per cercare meglio si era tolta il giubbotto e la maglietta nascondeva a stendo il corpo troppo magro e il piccolo seno che rendeva inutile qualsiasi reggiseno. Teneva lo sguardo puntato a terra e li per li Diana non si accorse ne delle lacrime che rigavano le guance ne dei numerosi tagli e lividi che si era procurata nell'incidente.

"Senti facciamo così, io abito qui vicino, vieni a farti disinfettare il labbro e tutto il resto e poi discutiamo di come tu possa ripagarmi il pc, tanto ormai l'esame è andato"

Prese quel che restava del suo zaino e si avviò verso casa accertandosi che la ragazzina la seguisse.

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